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L’acqua nel pozzo

Ho sognato di scendere in un pozzo per scoprire se dentro ci fosse ancora dell’acqua. Acqua per nuotare. Acqua per bere. Acqua per lavare. Lavare le paure e le angosce, lavare gli incubi del quotidiano. Avevo un paio di pantaloni chiari e nuovi, quelli nuovi dei giorni di festa. Ma se avessi trovato l’acqua, lì in fondo al pozzo, non avrei dovuto più preoccuparmi di fare attenzione a non sporcarli, li avrei potuto lavare lì, spazzolarli, togliere il fango dai bordi, prima di tornare a casa. Prima di tornare a casa potevo giocare e nuotare. Ho sognato di nuotare con i pensieri in una realtà diversa, forse nel mondo ideale, l’ideale mondo dei bambini, quello sacro dove i grandi non devono entrare. Perché i grandi non sanno giocare, perché a volte i grandi non fanno giocare.

Ho sognato di essere felice, la felicità era l’acqua in fondo al pozzo. Un tuffo sarebbe bastato per rifugiarmi là, cioè in un posto vicino, alla mia portata, eppure sufficientemente lontano. Lontano da un mondo che non avevo scelto, da un mondo che forse non capiva i miei pensieri. In fondo al pozzo cercavo l’acqua, l’acqua che mi avrebbe restituito i pensieri puliti. Puliti, limpidi e leggeri, quelli che sanno salire in alto e poi scivolare giù dagli arcobaleni per raggiungere la fortuna o il tesoro che si trova alla fine di essi. Sognavo di giocare, sognavo di nascondermi per avere uno spazio mio, uno spazio segreto tutto mio. Un rifugio mio. Di me, ancora bambino.

Ma poi il sogno si è tinto dei colori scuri dell’incubo. Il buio del pozzo mi ha messo paura e non mi è sembrato meno buio della realtà. Il buio del pozzo mi ha inghiottito e non mi ha più sputato fuori. E allora l’incubo è diventato reale. E la realtà è più cupa e violenta dell’immaginazione. La fantasia ha un limite che ci protegge dall’orrore a cui, invece, spesso arriva la fatalità. Il fato e il destino tracciano percorsi, per qualcuno il percorso è tortuoso ancor prima di nascere, per altri non sarà tortuoso mai. Il mio era tortuoso. E lungo il mio percorso ho sognato l’acqua, il pozzo, gli arcobaleni, la felicità, il gioco, le coccole,la fortuna, il tesoro. Ma una volta nel pozzo le possibilità di sognare sono finite nel collo di un imbuto che si è fatto sempre più stretto. Sempre più stretto.

Ora i grandi vengono al pozzo. Cercano di riempirlo con l’acqua salata delle loro lacrime, per farmi nuotare, per farmi di nuovo giocare. Ma il mio corpo ormai non è che un corpo. I sogni come gli incubi ormai si sono spenti. Ormai si è spenta la possibilità di cercare l’acqua nel pozzo. E poi io non cercavo acqua salata. Io cercavo acqua dolce, quella dei pozzi. Quella che sa di felicità e non di scuse. Ora i grandi portano i fiori, ma i colori che sognavo erano quelli dell’arcobaleno, non quelli dei fiori. L’arcobaleno da cui scivolare in un posto migliore, almeno un posto migliore, se mondo migliore non c’è. Ora i grandi chiedono scusa. Ma il mio corpo ormai non è che un corpo, è solo corpo e non può più perdonare.

capire tu non puoi … tu chiamale, se vuoi, ELEZIONI….

C’era un Paese che si chiamava Civile. In questo Paese tutti avevano diritto di pensare liberamente, ma non di parlare… perché, si sa, la lingua ferisce più di una spada e nel Paese Civile la violenza era bandita. Nel Paese Civile c’era sempre spazio per tutti e c’era tanta democrazia, così tanta, ma così tanta che si cercava di dare a tutti, ma proprio a TUTTI (anche a cani e porci … gli animali in questo paese erano tutelati, un bene dello Stato e addirittura si facevano le leggi AD “ANIMALEM” pur di evitare di metterli in gabbia!) l’opportunità di governare e di dare il proprio contributo allo sviluppo della più alta civiltà! Così ogni tanto … o forse “ogni spesso” si indicevano nuove elezioni. Certo, non tutti si sentivano all’altezza, non tutti si candidavano, anzi, per comodità si candidavano sempre gli stessi. Sì, ma solo per comodità. Di chi, chi lo sa!

Manifesti, che manifesti! In giro, dappertutto, c’erano questi manifesti con simboli e facce e si faceva fatica a distinguere i simboli dalle facce, perché certe facce erano proprio strane, direi … plastificate, innaturali. Altre brutte, sproporzionate. Altre cicciotte e tonde. Cicciotte e tonde come i simboli. Ma nessuna faccia era rassicurante. Alcuni simboli invece erano rassicuranti. Quelli sì! Però così si faceva confusione tra facce e simboli. E poi, i simboli… erano solo simboli…

C’era un Paese che si chiamava Civile, dove si inventavano simboli sempre più rassicuranti. Sempre simboli nuovi, nuove immagini e nuovi colori. Simboli nuovi che simboleggiavano il nuovo e una nuova sicurezza che prima o poi sarebbe arrivata. C’era un Paese che si chiamava Civile e c’era sempre voglia di novità e progresso e si progrediva così velocemente, ma così velocemente che non si faceva mai in tempo a finire una legislatura perché c’era troppa voglia di cambiare, troppa voglia di nuovo e di progresso! E quindi si ripartiva per una nuova campagna elettorale. E con nuovi simboli! Invece, per comodità le facce erano sempre le stesse. Ma, beninteso, solo per comodità! Di chi, chi lo sa!

C’era un Paese che si chiamava Civile, ma ad un certo momento andava così veloce che valicò il confine civiltà/inciviltà e si trovò travolto dalla monnezza! Che monnezza! Quintali e quintali di immondizia! Tutti quei manifesti elettorali! Tutti diventati presto spazzatura e nessuno si era reso conto che era carta che poteva essere riciclata! Sì, quei manifesti, con quei simboli potevano essere riciclati! Materiale da riutilizzare! E invece, poiché l’immondizia era veramente troppa e pochi gli stabilimenti per il riciclaggio, bisognava operare una scelta e alla fine si decise di riciclare solo le facce! Mentre i simboli, ahimé, bisognava farne di nuovi! Più ecologici e più rassicuranti. Solo che alla fine la gente non capiva più niente e nessuno andava più a votare perché mentre si allestivano i seggi, la gente si preoccupava piuttosto di andarsi a procurare la pagnotta e di portarla a casa per le loro famiglie, e altra gente invece si impegnava a spalare la spazzatura.

Allora per comodità, solo per comodità (di chi, non si sa), si decise di fare un governo di alleanze e grandi intese. Per comodità, solo per comodità. E ovviamente solo fino alle prossime elezioni.


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