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Correndo

L’estate scorsa ho cominciato a correre, ho imparato a correre. Mi piaceva la strada e il panorama. In salita, verso la cima del monte. Ma la vera meta era la fontana, appena ristrutturata, che mi regalava il sollievo di un sorso d’acqua fresca.

Correvo. I primi giorni non avevo le gambe pronte, poi le gambe andavano ma non avevo abbastanza fiato. Fino a che non ho trovato il ritmo, il mio, con il quale potevo procedere, continuare, riuscire a fare tutto il percorso.

Nel cercare il ritmo, il tempo da battere col passo, anche i pensieri hanno cominciato a trovare la loro direzione, a correre ordinatamente. Correndo dovevo solo resistere, non era necessario pensare a questo e a quello, a ciò che non avevo, che desideravo e non potevo avere, non dovevo concentrarmi su me e certi logori rapporti sociali, non era necessario consumare i neuroni inutilmente nelle paranoie, nei perché senza perché o per come. Dovevo correre. Avevo un semplice ma chiaro obiettivo, fare i miei chilometri, macinarli nel modo in cui sapevo. Dovevo pensare a questo, solo a correre, la fatica me lo ricordava, era l’unica preoccupazione in quei momenti. Insieme al fatto che le scarpe fossero comode e rispondessero bene alle sollecitazioni.

Correndo guardavo il paeseggio rurale, i covoni di paglia, il bosco… aggrappata alle redini del vento, nell’aria festosa e frizzante, mi sentivo tutt’uno con esso e col verde a me intorno.

Tornata a casa, arrivava il momento del premio: l’acqua e il sapone. Lavavano via il sudore, la stanchezza, mi restituivano come nuova alla realtà.

I pensieri? Quali pensieri? Davvero ero preoccupata di qualcosa prima di correre? Non me lo ricordavo nemmeno più!

Voci di vento

Ho scoperto di essere un’appassionata di voci di vento. Tra tante passioni forse ho scelto la più strana, anche se mi sto sempre più convincendo che è questa passione ad aver scelto me! Ho cambiato casa diverse volte, e , spesso, nella stessa casa ho cambiato stanza, una migrazione continua che mi ha portato a notare le differenze nelle diverse voci……..No, ok, non è che “SENTO LE VOCI” , sento il vento, è bene precisarlo subito! Dicevo, cambiando stanza di volta in volta, ho affinato l’orecchio e ormai riconosco i posti dalla voce di vento che sento alla finestra (forse cosa più folle del “sentire le voci”…). Anzi, togliamo queste parentesi e diciamo che è senz’altro cosa più folle che sentire le voci, perché questo vento è per me una compagnia, una presenza quasi. Un qualcosa che c’è e che parla. Dice la sua. La dice sempre a proposito. Ed io me l’aspetto! Cioé quando vado da qualche parte, in qualche posto che conosco, io mi aspetto una determinata voce di vento.

Ogni finestra ha il suo vento, ogni vento la sua voce… ed ogni voce pronuncia le parole con diverso accento.

Sono cambiate molte cose negli ultimi 2 anni ed è cambiata anche la casa, la stanza, la finestra e il relativo vento. Ma a questa voce di vento che sento alla mia nuova finestra non riesco ad abituarmi, non so interpretarla. Non è la frusta severa dell’inverno che più mi rende dolce il ristoro in casa; non è la culla alle cicale nelle più liete notti d’estate (voci che sento al paese natìo); nemmeno il muto materno soffiare su ferite aperte (voce che mi accompagna e consola nelle mie peregrinazioni solitarie reali e/o immaginarie per i vicoli che Roma mi nasconde). Non è il mio amico burbero e sincero col suo tono roco ma vero e rassicurante (voce che mi dice: studia, vai avanti, abbi fiducia,bla bla bla, ecc. ecc.); non è l’ambizioso sospingere i sogni in cielo (voce che sentivo quando studiavo anatomia con la scrivania attaccata alla mia vecchia finestra nella casa di via Perodi).

Ogni finestra ha il suo vento

ed ogni vento ha la sua voce

ed ogni voce pronuncia le parole

con diverso accento.

Ma questo accento, questo vento

non è familiare al mio cuore.

Per due anni ho cercato di capire questa voce, ma non ci son riuscita. Forse è sintomo della mia volontà di non legarmi a questo posto. Forse rifiuto questa voce perché non voglio ricordarla, non voglio mi appartenga come le altre. Forse non vedo l’ora di andarmene, di nuovo. Cambiare città, casa, stanza, finestra e vento. Magari il prossimo vento parlerà la lingua che conosco.


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