Posts Tagged 'cronache da un ambulatorio'

Il ritorno del lama

E va bene, che la gente è tutta particolare ormai ne sono certa, ciascuno ha la sua stranezza, ma un ambulatorio medico è sempre un osservatorio privilegiato (quasi migliore degli autobus).

Il signor Lam dei Lama (Tal dei Tali… ma in questo caso è più appropriato il nome da me coniato) si accomoda sulla poltrona e quando il mio collega gli si avvicina con la boccettina del collirio gli dice:”No, eh? Niente gocce che devo guidare!” ed io dall’alto della mia pazienza e dal basso della mia esperienza gli rispondo:”Mi scusi, ma lei ha fatto tutti questo chilometri per questa visita specialisitica e poi non si lascia visitare?”.

Infatti, dato che conosco i miei polli e riconosco un paziente mentitore dalla scia di bugia che si lascia dietro (tanto che la porta dell’ambulatorio resta aperta… con la scia incastrata…), mentre Lam dei Lama spudoratamente mente per evitare il collirio, entra il suo compagno di merende avvertendolo che aveva appena trovato parcheggio, ERGO, Lam dei Lama era accompagnato e non guidava affatto lui (e infatti… paonazzo di vergogna… in due mezzi secondi – cioé un secondo intero – netti)!

Così il mio collega ci riprova “Coraggio signore, apra gli occhi e guardi verso l’alto” e mentre dice queste parole e gli instilla le gocce, per tutta risposta, con esclamazioni adatte a una cantina, Lam dei Lama gli sputa sulla mano. Oh my god!!

“Oh, mi scusi, dotto’, ma io mi so’ sentito una cosa nell’occhio e mi è venuto naturale sputare(ceeeeeeeeerto, legittima difesa! No? Ovvio).

Il mio collega resta senza parole, incredulo, non si capacita. Faccio accomodare fuori il paziente invitandolo a controllarsi e ad avere un comportamento rispettoso (avrei voluto usare la parola “civile”, ma chissà se avrebbe compreso) poi “Ma… ma… hai visto cosa ha fatto?”, non sapendo se ridere o se piangere, rispondo:”Ho visto, my god, sono senza parole! Che ti devo dire, forse al suo paese si usa così… Ma ora non stare lì impalato, lavati per bene”.

Chi di collirio ferisce, di lama perisce.

(e per fortuna non è toccato a me, ih ih!!!)

Ma io…

“Ma io non mi son chiesta mai perché e nemmeno mai l’ho chiesto a Dio. Che colpa ne ha se le mie cellule sono impazzite d’improvviso e lentamente divorano un corpo, il mio, beh, non ancora stanco di esistere?

Ma io non piango, né mi dispero. Io vi aiuto, dottori, e vi rispetto per le cure, per lo studio, per la pazienza che mi dedicate. Forse ora non sarei qui senza di voi. Vedo i vostri volti farsi scuri nel propormi l’asprezza della terapia, l’ultima speranza. Ma io non mi dispero, né piango. Di cosa dovrei piangere? Ah, la mia vita è stata bella, a volte difficile, e intensa. Bocconi amari ne ho mangiati, ma poi sono arrivate sempre in premio dolcissime caramelle. Ho amato e amato molto. Ne ho amati tanti, ma uno solo è stato il grande amore. Ed è stato così grande che mi ha riempito tutta l’esistenza. In due la mia vita ha cominciato a non esser più solo mia e non sapete quale gran peso mi son tolta di avere una vita intera, tutta, solo per me. In due non avevo più una sola vita, ho cominciato con l’averne due e poi ne son venute altre e altre e altre e le ho vissute tutte!

Ah, dottori miei, domani andrò al mare e poi verrò in ospedale… ma non voglio trovare musi lunghi… no… non voglio sentire <purtroppo> o <mi dispiace>, perché a me la malattia non ha tolto niente. Mi toglierà alcuni anni, forse non vedrò i miei nipoti laurearsi o sposarsi, ma io ho già vissuto le loro giovani vite e so che continueranno ad essere meravigliose.
Ma io penso, ed è un umile pensiero, che la qualità della vita non si misuri in anni, che la bellezza di una vita si misura in campi seminati e qualità di raccolto. E quanti filari di vite ci sono nei miei anni… e se l’uva è matura, è pur sempre una festa vendemmiare.”

Roma, luglio 2008

Parole (parzialmente adattate) di una paziente, un cuore di donna, una splendida nonna, un’arguta laureata in filosofia, classe 1936.

La consulenza

“Signurì, si ricorda di me?”

“Come no? L’ho visitata venerdì, Signor A****… è qui per il ricovero, vero?”

“E sì, ma mi hanno detto che devo aspettare che viene un altro medico a visitarmi”.

“Lo so, ho incontrato prima il collega del reparto e mi ha detto che l’anestesista vuole la consulenza cardiologica. Ma vedrà che farà presto, un po’ di pazienza… vedrà che tra un po’ viene il cardiologo!”

“Nooo! Deve venire un medico, ma non il cardiologo, il ginecologo!”

A questo punto comincio a sforzarmi dal trattenere le risate.

“Il ginecologo?! Per lei?”

“Sì, sì, prima il suo collega, Signurì, m’ha detto che ho bisogno della visita ginecologica e allora mò aspetto.”

Cercando di non scoppiare a ridere, ripeto “La visita ginecologica per lei?!”
“Eh, sì… mai finora mi ha visto un ginecologo!” Il signore ha l’aria soddisfatta, l’idea di essere visitato da un ginecologo per la prima volta all’età di 83 anni lo riempie di entusiasmo.

“Guardi, non vorrei contraddirla, ma sono abbastanza sicura che verrà il cardiologo e non il ginecologo”.

“No? Ma come? E perché?”

E… perché? Perché ammesso che uno possa avere una malformazione tale che il cuore non si trovi più in torace ma nella pelvi (non credo esistano in letteratura casi del genere, è una ipotesi per assurdo che faccio io adesso), comunque il ginecologo NON POTREBBE MAI riuscire a visitare un uomo!

“Signor A****, beh… a lei serve il cardiologo. Il ginecologo è il medico delle donne, ha capito?”

“Aaah, delle donne… ho capito. E mi dispiace… ché poi a me non m’importava se era medico delle donne! Signurì, siamo nel 2008… mica mi vergognavo?”

E certo, nel 2008 il Sig. A****, uomo, non si formalizza se lo visita il medico delle donne.

Chi si ferma è perduto + una simpatica storiella

Ho deciso di segnarmi questa frase (“Chi si ferma è perduto”) sul calendario alla giornata di oggi, mercoledì 9 aprile 2008, e di scolpirmela in testa perché questa mattina, per essermi fermata davanti alla vetrina della libreria, ho sprecato 10 preziosi minuti che avrei invece potuto dedicare al relax … e si è anche raffreddata la pizzetta che avevo preso per pranzo. Questo è successo perché quando frequenti un ospedale e indossi un camice non puoi assolutamente sognarti di fermarti 5 minuti nel corridoio per pensare ai cavoli tuoi e sognare di essere in costume ai Caraibi piuttosto che mascherata da apprendista medico/stregone; di sederti su una panca dopo una mattinata in piedi; di sbocconcellare il pasto davanti alla vetrina della libreria interna; di accostarti a una parete per mandare un esseemmeesse … Questi sono “lussi” che non ti puoi concedere! Perché? Perché?

Perché in ospedale non si ha mai tempo per sé, ma solo tempo per gli altri e bisogna sempre correre e concentrarsi per salvare vite umane. ATTENZIONE: Se siete convinti che la risposta giusta sia questa è solo perché avete visto troppe puntate di ER o di Dr. House …

La risposta è più semplice e banale, ma purtroppo reale. Quando sei in camice, la regola è CAMMINARE SEMPRE! SCEGLIERE UNA QUALSIASI DIREZIONE E CAMMINARE CON PASSO DECISO, perché appena ti fermi, l’esercito di pazienti e parenti che regolarmente transita nei corridoi, ti circonda, fa la fila davanti a te scambiando il candore del camice per l’insegna bianca e luminosa “Qui: Ufficio informazioni”…. E chi deve andare a pagare il ticket, chi al bar, chi al parcheggio, chi si è perso, chi non sa dove sono gli ascensori o l’uscita, chi non si ricorda da dove è entrato, chi deve fare un controllo ma non sa arrivare all’ambulatorio giusto, chi deve visitare un parente, chi deve andare in bagno e chi in chiesa e anche chi rompe les marrons glacés solo per la curiosità di sapere quanti piani ha l’ospedale! Ma che je frega? Ma la chicca della giornata è stata questa: mentre tentavo invano di salvare la pizzetta dall’inesorabile raffreddamento (n.b.: il cibo del bar dell’ospedale è notoriamente senza sapore e gommoso … il calore gli dà almeno una qualità, se si raffredda ti resta in mano una porcheria ben pagata)… dicevo? ah sì, mentre cercavo de magna’, all’ufficio informazioni da me rappresentato si avvicina un signore che mi chiede: “Senda, scusi, devo fare una visita, ma non mi ricordo … m’hanno detto primo piano, secondo piano, non lo so…”, “Che visita deve fare, per cosa?”, “Ecco, vede, m’hanno detto che c’ho le stigmate“. L’ho guardato perplessa perché non capivo se avevo davanti un novello Padre Pio/S. Francesco d’Assisi o piuttosto uno che, poverino, non sapeva chiamare la malattia (o il motivo della visita) col nome corretto. Così gli ho chiesto di nuovo: “Ma che visita deve fare? Mi scusi, ma non ho capito. Per la pelle? Per il cuore? Per il fegato? Mi dica un po’ altrimenti non la so aiutare!”. “Ma no! Che c’entra il fegato? (e io che ne so! … veramente, dovrei dire io che c’entrano le stigmate …) M’hanno detto che non vedo bene perché c’ho le stigmate agli occhi e mi devo fare gli occhiali nuovi”. “Aaaaaaaaaaah, ho capito, allora deve andare al primo piano, di là…”

Il signore non aveva le stigmate agli occhi, in realtà intendeva dire che aveva l’ASTIGMATISMO

cronache da un ambulatorio – idioti allo sbaraglio

“Senti, chiama il Maresciallo. È nella sala d’attesa, fallo accomodare qui, sentigli il cuore e misuragli la pressione mentre io vado un attimo dalla segretaria” mi dice la dottoressa. Ed io eseguo.

 

Vado nella sala d’aspetto e “Prego Maresciallo, venga pure di là”.

“Maresciallo?!? Ma quale Maresciallo!!!”, dice come Caronte con gli occhi di bragia (era Caronte? … e pensare che ho pure visto Benigni che leggeva la Divina Commedia in tv … certo l’ho studiata pure al liceo, ma il ricordo si è fatto vago, nebuloso 😉 ), “io sono Colonnello!” e ci manca quasi che spalanca le fauci e mi inghiotte. Invece poi mi fa un sorriso, mi dà un buffetto sulla guancia (che poi vorrei capire chi mai gli ha concesso tutta questa confidenza) e “No, bella gioia – si riferisce a me, mah… – non ti preoccupare, anche se hai sbagliato non fa niente”.

“Prego venga di qua, tra un po’ arriva la dottoressa, intanto io le misuro la pressione”.

“Sei troppo giovane per misurarmi la pressione”.

“Alzi la manica della camicia, cortesemente”.

Sì, io gli dico di alzare la manica della camicia e quello comincia a spogliarsi e togliendo la pistola dalla fodera me la passa sotto il naso. “Mi tolgo tutto?”

“No no no nooooo! (per poco non mi viene un ictus, un colpo apoplettico … ormai ho l’occhio clinico per tipi sul maniaco andante …) Basta la camicia!”.

“Mi stendo o mi siedo?”,

“Si sieda, si sieda”.

Cerco di sentirgli il cuore ma si mette a parlare e a farmi domande, tipo quanti anni hai, che fai nella vita e che vuoi fare da grande (… ma se sono lì con un fonendoscopio … che voglio fare? Il pilota di formula 1?) ed io cerco di fargli segno di tacere altrimenti non sento niente.

Poi gli metto il bracciale, misuro finalmente la pressione e mi chiede: “Com’è?”,

“Alta, molto alta (gli rispondo preoccupata)”,

e lui “Ma quando ho davanti una bella ragazza mica si alza solo quella?” e mi guarda con una faccia da cammellide bavoso.

 

Possibili mie reazioni: gli ficco il fonendoscopio in un occhio; glielo suono in testa con un colpo secco e deciso; gli stringo il bracciale dello sfigmomanometro tanto da mandargli in ischemia il braccio così se non altro gli passa la voglia di allungare la mani!

 

 

Ma io non lo so…

‘Sti soggetti … capitano tutti a me.

 

Che s’ha da fa’

pe’ campa’.

 

Lezioni di medicina

Come ogni giorno, arrivato mezzogiorno, il dottore che mi segue nel tirocinio chiude le porte della sala d’attesa e si trattiene in ambulatorio per ascoltare i messaggi lasciati dai pazienti nella segreteria telefonica.

“Ah! – mi dice ad un certo punto – sai chi è questo signore? Ti racconto la sua storia. Qualche tempo fa si è presentato qui dicendomi di essere andato in asl e di avermi scelto come suo medico. Una persona simpatica e molto attenta alla salute, voleva sempre che gli spiegassi tutto nel dettaglio e si mostrava davvero interessato, tanto che un giorno, guardando la mia libreria, mi ha chiesto se potevo prestargli alcuni libri di cardiologia. Certo, gli ho detto, prendi quello che vuoi! E da quel giorno si è messo a studiare … veniva qua in ambulatorio e mi chiedeva chiarimenti sull’interpretazione degli elettrocardiogrammi, mi chiedeva cose che da studente io ho sempre evitato di studiare per non farmi venire un inutile e fastidioso mal di testa! Io restavo sbalordito per la sua preparazione e mi dicevo: caspita, ma questo è proprio un appassionato! Un bel giorno, però, questo tizio viene qui in ambulatorio e mi fa questa domanda: Dotto’, ma quanto costa un elettrocardiografo? In quel momento si è accesa una lampadina … o meglio, un allarme nella mia testa e gli ho detto: Ma che devi fartene di un elettrocardiografo? E lui: Ora che sono così bravo voglio comprare un elettrocardiografo e fare gli elettrocardiogrammi a tutti quelli del mio palazzo, così mi pagano. A quelle parole mi si è fermata la salivazione, sono rimasto a bocca aperta e approfondendo la questione ho scoperto che questo povero ragazzo soffriva di schizofrenia e aveva cambiato medico per sfuggire alle terapie. Ascoltando i familiari ho saputo che parlava da solo con i suoi fantasmi e i suoi pazienti immaginari e che, in buona fede, ho contribuito al suo progetto folle. La sua stanza era tappezzata di mappe, di fogli, di scritte strane e in quella casa non c’era una sola cosa che facesse sperare in un barlume di normalità! Comunque ora è di nuovo in cura e va meglio. …Morale della favola? Le malattie non si presentano mai così come sono scritte sui libri … magari! … questo ragazzo, qando veniva da qui da me, sembrava sanissimo … sui libri non c’è scritto: attenzione a chi vi chiede libri in prestito se non è del settore! Quindi c’è una seconda morale in questa favola: non prestate mai i libri a nessuno! La cosa peggiore che vi può capitare è che aiutiate uno schizofrenico a peggiorare la sua situazione; la migliore è che il vostro paziente, fino ad allora sano come un pesce, torna in ambulatorio con la classica sindrome post-Elisir (si riferisce al programma di Mirabella su raitre … programma che va in onda la domenica sera e che causa sovraffollamento negli ambulatori il lunedì mattina … e guarda caso hanno tutti le stesse tre patologie … beh, se non altro la trasmissione Elisir aiuta a far diagnosi, ma magari tra tanti falsi positivi finisce che sfugge proprio quello che davvero ha una patologia che merita attenzione) o con l’ansia che proprio a lui è capitata la sventurata sorte di una rarissima malattia che voi nemmeno conoscevate. E quindi ci fate pure la figura del peracottaro”.


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