Posts Tagged 'medicina'

Casi “bestiali”

Premessa: Alcuni considerano gli animali domestici come parti integranti della famiglia. Bene. Ognuno può credere quel che vuole e ce ne vorrebbero di più al mondo di persone che sanno amarli, rispettarli e prendersene cura, tenendo però sempre a mente che sono animali, appunto, e per tanto non sono “assicurati” dal SSN (servizio sanitario nazionale). Anche perché con i tempi che corrono, se gli “sprechi” e le prescrizioni improprie non finiranno, presto questo grande rubinetto della sanità pubblica verrà chiuso.

“Signorì, signorì, presto! Presto!” mi dice porgendomi un foglio.

“Le servono 12 flaconi da 500cc di soluzione fisiologica?”

“Sì, sì, ma le segni sotto il nome di mia madre, che lei c’ha l’esenzione totale del ticket”.

“Un attimo, scusi. Chi le ha prescritto 12 flaconi di fisiologica e perché? Non mi risulta che sua madre faccia delle terapie endovenose o che sia così disidratata.”

“Sì, ma ci servono, per favore, davvero, la prego.”

“Mi spiace veramente, ma se non mi dice a cosa le servono non gliele prescrivo con la ricetta rossa, va in farmacia e se le compra.”

“Ma mia madre ne ha diritto!!!”

“No, ne ha diritto solo se ne ha bisogno, non ne ha diritto e basta. Ma comunque se almeno mi dicesse che uso ne deve fare… non vorrei che il sistema sanitario serva per innaffiare le sue piante!” E io ingenua che mi metto pure a fare dell’ironia……..

“Eh, per le piante no, ma quasi… sa, il mio cane… il veterinario ha detto che è disidratato… e ha detto vai dal tuo medico, vedi se le può segnare, così non le paghi”.

Un flacone di 500cc di fisiologica costa circa 2-2,50 euro. Meno del win for life.

H1N1

“Ed anzitutto non lotta contro l’epidemia, per non dire che la favorisce, chi ascolta le voci superstiziose od esagerate, che si fanno correre, come se mali misteriosi minacciassero l’umanità. Vale qui la norma già divulgata per tutti i morbi infettivi: le preoccupazioni predispongono all’attacco, mentre la calma e la serenità dello spirito, la vita sobria ed ordinata sono tra i più efficaci mezzi profilattici.”

Istruzioni popolari per la difesa contro l’influenza, per cura del Ministero dell’Interno – Direzione Generale Sanità Pubblica, pubblicato a Roma nel 1915 in previsione dell’Epidemia Spagnola.

Ma io…

“Ma io non mi son chiesta mai perché e nemmeno mai l’ho chiesto a Dio. Che colpa ne ha se le mie cellule sono impazzite d’improvviso e lentamente divorano un corpo, il mio, beh, non ancora stanco di esistere?

Ma io non piango, né mi dispero. Io vi aiuto, dottori, e vi rispetto per le cure, per lo studio, per la pazienza che mi dedicate. Forse ora non sarei qui senza di voi. Vedo i vostri volti farsi scuri nel propormi l’asprezza della terapia, l’ultima speranza. Ma io non mi dispero, né piango. Di cosa dovrei piangere? Ah, la mia vita è stata bella, a volte difficile, e intensa. Bocconi amari ne ho mangiati, ma poi sono arrivate sempre in premio dolcissime caramelle. Ho amato e amato molto. Ne ho amati tanti, ma uno solo è stato il grande amore. Ed è stato così grande che mi ha riempito tutta l’esistenza. In due la mia vita ha cominciato a non esser più solo mia e non sapete quale gran peso mi son tolta di avere una vita intera, tutta, solo per me. In due non avevo più una sola vita, ho cominciato con l’averne due e poi ne son venute altre e altre e altre e le ho vissute tutte!

Ah, dottori miei, domani andrò al mare e poi verrò in ospedale… ma non voglio trovare musi lunghi… no… non voglio sentire <purtroppo> o <mi dispiace>, perché a me la malattia non ha tolto niente. Mi toglierà alcuni anni, forse non vedrò i miei nipoti laurearsi o sposarsi, ma io ho già vissuto le loro giovani vite e so che continueranno ad essere meravigliose.
Ma io penso, ed è un umile pensiero, che la qualità della vita non si misuri in anni, che la bellezza di una vita si misura in campi seminati e qualità di raccolto. E quanti filari di vite ci sono nei miei anni… e se l’uva è matura, è pur sempre una festa vendemmiare.”

Roma, luglio 2008

Parole (parzialmente adattate) di una paziente, un cuore di donna, una splendida nonna, un’arguta laureata in filosofia, classe 1936.

La consulenza

“Signurì, si ricorda di me?”

“Come no? L’ho visitata venerdì, Signor A****… è qui per il ricovero, vero?”

“E sì, ma mi hanno detto che devo aspettare che viene un altro medico a visitarmi”.

“Lo so, ho incontrato prima il collega del reparto e mi ha detto che l’anestesista vuole la consulenza cardiologica. Ma vedrà che farà presto, un po’ di pazienza… vedrà che tra un po’ viene il cardiologo!”

“Nooo! Deve venire un medico, ma non il cardiologo, il ginecologo!”

A questo punto comincio a sforzarmi dal trattenere le risate.

“Il ginecologo?! Per lei?”

“Sì, sì, prima il suo collega, Signurì, m’ha detto che ho bisogno della visita ginecologica e allora mò aspetto.”

Cercando di non scoppiare a ridere, ripeto “La visita ginecologica per lei?!”
“Eh, sì… mai finora mi ha visto un ginecologo!” Il signore ha l’aria soddisfatta, l’idea di essere visitato da un ginecologo per la prima volta all’età di 83 anni lo riempie di entusiasmo.

“Guardi, non vorrei contraddirla, ma sono abbastanza sicura che verrà il cardiologo e non il ginecologo”.

“No? Ma come? E perché?”

E… perché? Perché ammesso che uno possa avere una malformazione tale che il cuore non si trovi più in torace ma nella pelvi (non credo esistano in letteratura casi del genere, è una ipotesi per assurdo che faccio io adesso), comunque il ginecologo NON POTREBBE MAI riuscire a visitare un uomo!

“Signor A****, beh… a lei serve il cardiologo. Il ginecologo è il medico delle donne, ha capito?”

“Aaah, delle donne… ho capito. E mi dispiace… ché poi a me non m’importava se era medico delle donne! Signurì, siamo nel 2008… mica mi vergognavo?”

E certo, nel 2008 il Sig. A****, uomo, non si formalizza se lo visita il medico delle donne.

Chi si ferma è perduto + una simpatica storiella

Ho deciso di segnarmi questa frase (“Chi si ferma è perduto”) sul calendario alla giornata di oggi, mercoledì 9 aprile 2008, e di scolpirmela in testa perché questa mattina, per essermi fermata davanti alla vetrina della libreria, ho sprecato 10 preziosi minuti che avrei invece potuto dedicare al relax … e si è anche raffreddata la pizzetta che avevo preso per pranzo. Questo è successo perché quando frequenti un ospedale e indossi un camice non puoi assolutamente sognarti di fermarti 5 minuti nel corridoio per pensare ai cavoli tuoi e sognare di essere in costume ai Caraibi piuttosto che mascherata da apprendista medico/stregone; di sederti su una panca dopo una mattinata in piedi; di sbocconcellare il pasto davanti alla vetrina della libreria interna; di accostarti a una parete per mandare un esseemmeesse … Questi sono “lussi” che non ti puoi concedere! Perché? Perché?

Perché in ospedale non si ha mai tempo per sé, ma solo tempo per gli altri e bisogna sempre correre e concentrarsi per salvare vite umane. ATTENZIONE: Se siete convinti che la risposta giusta sia questa è solo perché avete visto troppe puntate di ER o di Dr. House …

La risposta è più semplice e banale, ma purtroppo reale. Quando sei in camice, la regola è CAMMINARE SEMPRE! SCEGLIERE UNA QUALSIASI DIREZIONE E CAMMINARE CON PASSO DECISO, perché appena ti fermi, l’esercito di pazienti e parenti che regolarmente transita nei corridoi, ti circonda, fa la fila davanti a te scambiando il candore del camice per l’insegna bianca e luminosa “Qui: Ufficio informazioni”…. E chi deve andare a pagare il ticket, chi al bar, chi al parcheggio, chi si è perso, chi non sa dove sono gli ascensori o l’uscita, chi non si ricorda da dove è entrato, chi deve fare un controllo ma non sa arrivare all’ambulatorio giusto, chi deve visitare un parente, chi deve andare in bagno e chi in chiesa e anche chi rompe les marrons glacés solo per la curiosità di sapere quanti piani ha l’ospedale! Ma che je frega? Ma la chicca della giornata è stata questa: mentre tentavo invano di salvare la pizzetta dall’inesorabile raffreddamento (n.b.: il cibo del bar dell’ospedale è notoriamente senza sapore e gommoso … il calore gli dà almeno una qualità, se si raffredda ti resta in mano una porcheria ben pagata)… dicevo? ah sì, mentre cercavo de magna’, all’ufficio informazioni da me rappresentato si avvicina un signore che mi chiede: “Senda, scusi, devo fare una visita, ma non mi ricordo … m’hanno detto primo piano, secondo piano, non lo so…”, “Che visita deve fare, per cosa?”, “Ecco, vede, m’hanno detto che c’ho le stigmate“. L’ho guardato perplessa perché non capivo se avevo davanti un novello Padre Pio/S. Francesco d’Assisi o piuttosto uno che, poverino, non sapeva chiamare la malattia (o il motivo della visita) col nome corretto. Così gli ho chiesto di nuovo: “Ma che visita deve fare? Mi scusi, ma non ho capito. Per la pelle? Per il cuore? Per il fegato? Mi dica un po’ altrimenti non la so aiutare!”. “Ma no! Che c’entra il fegato? (e io che ne so! … veramente, dovrei dire io che c’entrano le stigmate …) M’hanno detto che non vedo bene perché c’ho le stigmate agli occhi e mi devo fare gli occhiali nuovi”. “Aaaaaaaaaaah, ho capito, allora deve andare al primo piano, di là…”

Il signore non aveva le stigmate agli occhi, in realtà intendeva dire che aveva l’ASTIGMATISMO

cronache da un ambulatorio – idioti allo sbaraglio

“Senti, chiama il Maresciallo. È nella sala d’attesa, fallo accomodare qui, sentigli il cuore e misuragli la pressione mentre io vado un attimo dalla segretaria” mi dice la dottoressa. Ed io eseguo.

 

Vado nella sala d’aspetto e “Prego Maresciallo, venga pure di là”.

“Maresciallo?!? Ma quale Maresciallo!!!”, dice come Caronte con gli occhi di bragia (era Caronte? … e pensare che ho pure visto Benigni che leggeva la Divina Commedia in tv … certo l’ho studiata pure al liceo, ma il ricordo si è fatto vago, nebuloso 😉 ), “io sono Colonnello!” e ci manca quasi che spalanca le fauci e mi inghiotte. Invece poi mi fa un sorriso, mi dà un buffetto sulla guancia (che poi vorrei capire chi mai gli ha concesso tutta questa confidenza) e “No, bella gioia – si riferisce a me, mah… – non ti preoccupare, anche se hai sbagliato non fa niente”.

“Prego venga di qua, tra un po’ arriva la dottoressa, intanto io le misuro la pressione”.

“Sei troppo giovane per misurarmi la pressione”.

“Alzi la manica della camicia, cortesemente”.

Sì, io gli dico di alzare la manica della camicia e quello comincia a spogliarsi e togliendo la pistola dalla fodera me la passa sotto il naso. “Mi tolgo tutto?”

“No no no nooooo! (per poco non mi viene un ictus, un colpo apoplettico … ormai ho l’occhio clinico per tipi sul maniaco andante …) Basta la camicia!”.

“Mi stendo o mi siedo?”,

“Si sieda, si sieda”.

Cerco di sentirgli il cuore ma si mette a parlare e a farmi domande, tipo quanti anni hai, che fai nella vita e che vuoi fare da grande (… ma se sono lì con un fonendoscopio … che voglio fare? Il pilota di formula 1?) ed io cerco di fargli segno di tacere altrimenti non sento niente.

Poi gli metto il bracciale, misuro finalmente la pressione e mi chiede: “Com’è?”,

“Alta, molto alta (gli rispondo preoccupata)”,

e lui “Ma quando ho davanti una bella ragazza mica si alza solo quella?” e mi guarda con una faccia da cammellide bavoso.

 

Possibili mie reazioni: gli ficco il fonendoscopio in un occhio; glielo suono in testa con un colpo secco e deciso; gli stringo il bracciale dello sfigmomanometro tanto da mandargli in ischemia il braccio così se non altro gli passa la voglia di allungare la mani!

 

 

Ma io non lo so…

‘Sti soggetti … capitano tutti a me.

 

Che s’ha da fa’

pe’ campa’.

 

Lezioni di medicina

Come ogni giorno, arrivato mezzogiorno, il dottore che mi segue nel tirocinio chiude le porte della sala d’attesa e si trattiene in ambulatorio per ascoltare i messaggi lasciati dai pazienti nella segreteria telefonica.

“Ah! – mi dice ad un certo punto – sai chi è questo signore? Ti racconto la sua storia. Qualche tempo fa si è presentato qui dicendomi di essere andato in asl e di avermi scelto come suo medico. Una persona simpatica e molto attenta alla salute, voleva sempre che gli spiegassi tutto nel dettaglio e si mostrava davvero interessato, tanto che un giorno, guardando la mia libreria, mi ha chiesto se potevo prestargli alcuni libri di cardiologia. Certo, gli ho detto, prendi quello che vuoi! E da quel giorno si è messo a studiare … veniva qua in ambulatorio e mi chiedeva chiarimenti sull’interpretazione degli elettrocardiogrammi, mi chiedeva cose che da studente io ho sempre evitato di studiare per non farmi venire un inutile e fastidioso mal di testa! Io restavo sbalordito per la sua preparazione e mi dicevo: caspita, ma questo è proprio un appassionato! Un bel giorno, però, questo tizio viene qui in ambulatorio e mi fa questa domanda: Dotto’, ma quanto costa un elettrocardiografo? In quel momento si è accesa una lampadina … o meglio, un allarme nella mia testa e gli ho detto: Ma che devi fartene di un elettrocardiografo? E lui: Ora che sono così bravo voglio comprare un elettrocardiografo e fare gli elettrocardiogrammi a tutti quelli del mio palazzo, così mi pagano. A quelle parole mi si è fermata la salivazione, sono rimasto a bocca aperta e approfondendo la questione ho scoperto che questo povero ragazzo soffriva di schizofrenia e aveva cambiato medico per sfuggire alle terapie. Ascoltando i familiari ho saputo che parlava da solo con i suoi fantasmi e i suoi pazienti immaginari e che, in buona fede, ho contribuito al suo progetto folle. La sua stanza era tappezzata di mappe, di fogli, di scritte strane e in quella casa non c’era una sola cosa che facesse sperare in un barlume di normalità! Comunque ora è di nuovo in cura e va meglio. …Morale della favola? Le malattie non si presentano mai così come sono scritte sui libri … magari! … questo ragazzo, qando veniva da qui da me, sembrava sanissimo … sui libri non c’è scritto: attenzione a chi vi chiede libri in prestito se non è del settore! Quindi c’è una seconda morale in questa favola: non prestate mai i libri a nessuno! La cosa peggiore che vi può capitare è che aiutiate uno schizofrenico a peggiorare la sua situazione; la migliore è che il vostro paziente, fino ad allora sano come un pesce, torna in ambulatorio con la classica sindrome post-Elisir (si riferisce al programma di Mirabella su raitre … programma che va in onda la domenica sera e che causa sovraffollamento negli ambulatori il lunedì mattina … e guarda caso hanno tutti le stesse tre patologie … beh, se non altro la trasmissione Elisir aiuta a far diagnosi, ma magari tra tanti falsi positivi finisce che sfugge proprio quello che davvero ha una patologia che merita attenzione) o con l’ansia che proprio a lui è capitata la sventurata sorte di una rarissima malattia che voi nemmeno conoscevate. E quindi ci fate pure la figura del peracottaro”.

ipocondria

“Ho comprato il primo volume dell’enciclopedia medica! Ho tutte le malattie con la A!”

Una domanda rivolta a tutti gli ipocondriaci:

Miei cari,

ma quanta fortuna e quante energie avete se riuscite ancora a camminare, lavorare, rompere le scatole e telefonare a tutte le ore del giorno e della notte nonostante pensiate di avere tutte le malattie con la A?

questo post è affettuosamente dedicato ad un amico che mi ha chiamato nel cuore della notte (ma io dormivo beatamente…) e che stamattina mi ha inviato questo sms: “Scusa, stanotte ti ho cercato … è che sentivo il cuore che mi batteva, mi sono impressionato e non riuscivo a prendere sonno!” …mah, io mi sarei preoccupata di più se non l’avessi sentito, dico, il battito! Ma se non avessi avuto più battito non credo che avrei trovato la forza di agitarmi inutilmente e consumare le ultime energie per telefonare a un’amica in fase R.E.M. …Amico mio, non ti arrabbiare, non dirmi che sono insensibile, ma di notte, ahimé, dormo.

La lentezza

Camminano con passo incerto, con la mano che arpiona il legno nodoso di un bastone, così fieri del proprio pudore, così nobili nella loro lentezza. Avanzano piano, leggeri, nonostante il peso degli anni abbia curvato le loro schiene, nonostante gli acciacchi li abbiano resi così delicatamente fragili. Nonostante resti loro una speranza di vita che non profuma più di primavera, ma nevica lieve dal cielo del loro inverno.

“Rossi. Ambulatorio 7”, chiama l’altoparlante della sala d’attesa. “Rossi. Ambulatorio 7”. Il Signor Rossi sente appena, si alza lentamente perché non ha la fretta di farsi “torturare” in fretta da medici che vanno sempre di fretta perché la lista dei pazienti da visitare è lunga … perché la direzione sanitaria impone di non sprecare tempo (e il tempo è denaro … e la sanità ha i suoi costi … ecc. ecc. “e venne il cane che morse il gatto che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò”) …

Il signor Rossi ha 90 anni ed è ancora autonomo. Basta il suo bastone a reggere i suoi 90 anni, basta dargli il tempo di percorrere il corridoio e raggiungere l’ambulatorio. Ma la voce dell’altoparlante continua a chiamare il suo nome quasi nervosamente e non è passato neanche 1/2 minuto dalla prima chiamata! Che diamine, un po’ di calma, il teletrasporto non esiste, non si può pretendere che, a 2 secondi dalla chiamata, uno sia già pronto sulla soglia dell’ambulatorio per stabilire il nuovo record dei cento metri piani. “Rossi. Ambulatorio 7” … Il signor Rossi sta arrivando, piano piano, incoraggiato dal gentile tifo delle infermiere impiegate all’ufficio accettazione :”Signor Rossi, è lei? Forza che la stanno a chiama’ da mezz’ora! Ma che? Nun ce sente? Ma ha capito dove deve andare? Eh, ma su, signor Rossi, se dia na mossa!”. E il signor Rossi ha l’educazione, il riserbo, il contegno di una volta e non risponde. Sì, mi piace pensarla così! Non è che non risponde perché è sordo e non ha sentito! Perché, in fondo, la sordità (ipoacusia) lo protegge dalla stupidità e dall’ignoranza di un mondo che non accetta la sua lentezza. O forse lui è più intelligente e non risponde perché ha rispetto per la cecità (ipovisione) di chi lo sprona ad incedere velocemente e non vede il suo bastone e la sua età.

I signor Rossi camminano senza la sicurezza e il vigore dei loro anni migliori. Un po’ stanchi, un po’ rassegnati, un po’ consumati. La loro lentezza contrasta con i ritmi folli di oggi. La loro lentezza non è adeguata ai ritmi di oggi. Eppure quella lentezza sa sospendere per un po’ la corsa dei minuti. Ai medici, che van così di fretta, permette di riprendere fiato e di rifare ordine nella testa. E le infermiere, piuttosto che sprecar voce (perché è sprecata sì in questi casi), potrebbero concedersi un break, magari bere un caffé (o una camomilla) con mooooolto zucchero.

IO ADORO LA LENTEZZA!


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