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evoluzioni cromatiche

Il lento scivolare di un colore nell’altro

non mescendosi a caso

ma affidandosi alla sapienza del Cielo

e la Terra

che si lascia accarezzare

da questi scampoli di luce

mi incantano,

mi placano,

sopendono il tempo

che, d’un tratto,

cessa la sua corsa

e mi regala un’emozione.

E il tremulo fremito

di una candela accesa alla finestra

accompagna i miei occhi a seguire

le evoluzioni cromatiche di un tramonto.

(OSoleMia, 10 settembre 2005)

Milano, foto di CsMicky

Ma io…

“Ma io non mi son chiesta mai perché e nemmeno mai l’ho chiesto a Dio. Che colpa ne ha se le mie cellule sono impazzite d’improvviso e lentamente divorano un corpo, il mio, beh, non ancora stanco di esistere?

Ma io non piango, né mi dispero. Io vi aiuto, dottori, e vi rispetto per le cure, per lo studio, per la pazienza che mi dedicate. Forse ora non sarei qui senza di voi. Vedo i vostri volti farsi scuri nel propormi l’asprezza della terapia, l’ultima speranza. Ma io non mi dispero, né piango. Di cosa dovrei piangere? Ah, la mia vita è stata bella, a volte difficile, e intensa. Bocconi amari ne ho mangiati, ma poi sono arrivate sempre in premio dolcissime caramelle. Ho amato e amato molto. Ne ho amati tanti, ma uno solo è stato il grande amore. Ed è stato così grande che mi ha riempito tutta l’esistenza. In due la mia vita ha cominciato a non esser più solo mia e non sapete quale gran peso mi son tolta di avere una vita intera, tutta, solo per me. In due non avevo più una sola vita, ho cominciato con l’averne due e poi ne son venute altre e altre e altre e le ho vissute tutte!

Ah, dottori miei, domani andrò al mare e poi verrò in ospedale… ma non voglio trovare musi lunghi… no… non voglio sentire <purtroppo> o <mi dispiace>, perché a me la malattia non ha tolto niente. Mi toglierà alcuni anni, forse non vedrò i miei nipoti laurearsi o sposarsi, ma io ho già vissuto le loro giovani vite e so che continueranno ad essere meravigliose.
Ma io penso, ed è un umile pensiero, che la qualità della vita non si misuri in anni, che la bellezza di una vita si misura in campi seminati e qualità di raccolto. E quanti filari di vite ci sono nei miei anni… e se l’uva è matura, è pur sempre una festa vendemmiare.”

Roma, luglio 2008

Parole (parzialmente adattate) di una paziente, un cuore di donna, una splendida nonna, un’arguta laureata in filosofia, classe 1936.

il materasso

Lo dice anche l’oroscopo. Devo riposare!

E infatti riposo… anche se son sveglia resto a godermi il letto…

come cantava qualcuno qualche anno fa…

La lentezza

Camminano con passo incerto, con la mano che arpiona il legno nodoso di un bastone, così fieri del proprio pudore, così nobili nella loro lentezza. Avanzano piano, leggeri, nonostante il peso degli anni abbia curvato le loro schiene, nonostante gli acciacchi li abbiano resi così delicatamente fragili. Nonostante resti loro una speranza di vita che non profuma più di primavera, ma nevica lieve dal cielo del loro inverno.

“Rossi. Ambulatorio 7”, chiama l’altoparlante della sala d’attesa. “Rossi. Ambulatorio 7”. Il Signor Rossi sente appena, si alza lentamente perché non ha la fretta di farsi “torturare” in fretta da medici che vanno sempre di fretta perché la lista dei pazienti da visitare è lunga … perché la direzione sanitaria impone di non sprecare tempo (e il tempo è denaro … e la sanità ha i suoi costi … ecc. ecc. “e venne il cane che morse il gatto che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò”) …

Il signor Rossi ha 90 anni ed è ancora autonomo. Basta il suo bastone a reggere i suoi 90 anni, basta dargli il tempo di percorrere il corridoio e raggiungere l’ambulatorio. Ma la voce dell’altoparlante continua a chiamare il suo nome quasi nervosamente e non è passato neanche 1/2 minuto dalla prima chiamata! Che diamine, un po’ di calma, il teletrasporto non esiste, non si può pretendere che, a 2 secondi dalla chiamata, uno sia già pronto sulla soglia dell’ambulatorio per stabilire il nuovo record dei cento metri piani. “Rossi. Ambulatorio 7” … Il signor Rossi sta arrivando, piano piano, incoraggiato dal gentile tifo delle infermiere impiegate all’ufficio accettazione :”Signor Rossi, è lei? Forza che la stanno a chiama’ da mezz’ora! Ma che? Nun ce sente? Ma ha capito dove deve andare? Eh, ma su, signor Rossi, se dia na mossa!”. E il signor Rossi ha l’educazione, il riserbo, il contegno di una volta e non risponde. Sì, mi piace pensarla così! Non è che non risponde perché è sordo e non ha sentito! Perché, in fondo, la sordità (ipoacusia) lo protegge dalla stupidità e dall’ignoranza di un mondo che non accetta la sua lentezza. O forse lui è più intelligente e non risponde perché ha rispetto per la cecità (ipovisione) di chi lo sprona ad incedere velocemente e non vede il suo bastone e la sua età.

I signor Rossi camminano senza la sicurezza e il vigore dei loro anni migliori. Un po’ stanchi, un po’ rassegnati, un po’ consumati. La loro lentezza contrasta con i ritmi folli di oggi. La loro lentezza non è adeguata ai ritmi di oggi. Eppure quella lentezza sa sospendere per un po’ la corsa dei minuti. Ai medici, che van così di fretta, permette di riprendere fiato e di rifare ordine nella testa. E le infermiere, piuttosto che sprecar voce (perché è sprecata sì in questi casi), potrebbero concedersi un break, magari bere un caffé (o una camomilla) con mooooolto zucchero.

IO ADORO LA LENTEZZA!


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