Posts Tagged 'civiltà'

Avviso ai bagnanti: non lasciare plastica a riva

Cristo si è fermato a Eboli…

…E CI CREDO!

Ma se lo svincolo per Eboli è chiuso, se la Salerno-Reggio è un’autostrada senza un perché, se ci sono più pezzi di asfalto lì che in tutto il resto d’Italia e ciascuno a sé stante, e se ogni giorno fai un tratto diverso dall’altro in un percoso labirintico (anche il navigatore satellitare si arrende, gli viene un attacco di panico, lo vedi affannato sudare disperazione dal cruscotto), serpeggiando tra un birillo e l’altro, a slalom tra una corsia e l’altra, e questo lo fai dopo lunghe attese e pause in coda, che nel frattempo potresti scendere dall’auto, sgranchirti le gambe, andare a salutare il vicino in coda, oppure potresti anche impazzire e fare una strage e uccidere tutti nel raggio di un kilometro (cosa che non risolverebbe la coda che di solito è molto più lunga)…

…beh, ci credo che Cristo si è fermato! E, poverino, come poteva fare?! Era proprio impossibilitato! Al confronto, camminare sulle acque è stato un gioco da ragazzi!

La dignità della vita

La vita è più forte di quanto pensiamo, si attacca, si incrosta alla nostre cellule, ci pervade, ci anima, ci spinge a lottare per amore e per sopravvivenza, ci fa superare ostacoli, pericoli, difficoltà. Ci fa sognare e piangere, ci fa desiderare il meglio per noi e per chi amiamo. La vita … è lei che sceglie noi e non il contrario, è lei che ci governa, noi non la gestiamo, noi possiamo solo rispettarla. La nostra, quella degli altri. Dalla nascita alla morte. E questo rispetto non può svilupparsi a pieno senza che le sia prima riconosciuta una profonda e insondabile dignità.

Permettete alla famiglia di ricordarla quando era ancora bella e forte, permettete che nella memoria non resti l’immagine di un letto di ospedale, degli infermieri, dei camici bianchi, dei tubi, delle medicazioni, delle spugnature, dell’immobilità, della impossibilità di manifestare emozioni e sentimenti, dell’anaffettività.
Date alla famiglia una tomba su cui piangere finalmente quelle lacrime che sono rimaste troppo a lungo intrappolate agli angoli delle palpebre, imprigionate tra le ciglia.
Restituitela alla Sorella Morte che ha preso la sua anima da tempo ed è ora che si ricongiunga con il corpo.
La compassione, la pietas, la dolcezza nel liberare quel che è ormai solo un guscio vuoto e di restituirlo alla sua dignità di persona e di essere umano sono la vera forza di un padre che ha lottato, non per un suo egoismo, ma per compiere un atto d’amore, l’ultimo verso una figlia sfortunata. Ha scelto la via della Legge, rispettandola ma al tempo stesso cercando di migliorarLa, perché Essa sia tutela di diritti civili (per tutti quelli che si troveranno in analoghe situazioni) e non una gabbia.
Tuo padre ha lottato per te, Eluana. Permettiamole di essere fiera di lui che non ha perso la speranza, la speranza di aiutarla nel modo che era più affine a quelli che erano il pensare e credere di sua figlia. Solo questa è la speranza che è ultima a morire.

Ciao Eluana,
grazie Beppino

“…Lasciali dire che al mondo quelli come te perderanno sempre, perché hai già vinto, lo giuro, non ti possono fare più niente… La vita è così forte che attraversa i muri per farsi vedere, la vita è così vera che sembra impossibile doverla lasciare, la vita è così grande che, quando sarai sul punto di morire, pianterai un ulivo convinto ancora di vederlo fiorire” –Sogna ragazzo sogna, R. Vecchioni

il tempo passato

Questa mattina ci si interrogava sul senso del passato.

Quello che si colloca prima di noi nel tempo lo pone forse in condizione di “cosa superata”?

Ma l’essere AVANTI solo temporalmente non coincide sempre con l’essere avanti e in progresso nella civiltà, nell’apertura alla diversità (come occasione di confronto – scambio – integrazione – sviluppo di nuove idee), nelle scelte, nei comportamenti, nell’etica.

Forse perché il nostro tempo personale ha un biglietto di sola andata e per poche fermate su un treno che però viaggia su un lungo, lungo binario, lungo ma circolare… e generazioni diverse, anche a distanza di secoli, poi si ritrovano stranamente nelle stesse stazioni… magari non si rendono conto che sono proprio quelle stazioni, quelle nelle fotografie o nei disegni dei loro avi, ma solo perché nel frattempo è stato fatto qualche lavoro di manutenzione, di ristrutturazione della facciata.

La Festa della donna e il Racket delle mimose …

8 marzo, festa della donna. Che giornata… esco per andare a far la spesa e, arrivata al semaforo, vedo un sorridente omino venirmi incontro con un bel ramo di mimosa. Si avvicina e mi dice: “vuoi tu mimosa? 5 euro”. No volere io mimosa, soprattutto no comprare mimosa me da sola. E un tic nervoso comincia ad alzarmi ritmicamente il sopracciglio destro.

Faccio la spesa, torno a casa e poi esco di nuovo per una passeggiata in centro. Ho appuntamento con un’amica alla metro Valle Aurelia, rimango ferma nel piazzale per 1 minuto, giusto il tempo di scrivere un messaggio alla mia amica per informarla del mio arrivo, e quando alzo gli occhi e rimetto in tasca il cellulare mi ritrovo circondata da venditori ambulanti e abusivi di mimose!!! Sono almeno in sette (solo quelli intorno a me, perché la stazione è piena e piene saranno anche le altre stazioni della metro!), nascosti tra i rami di mimosa che vendono … tra un fiore e l’altro traspare il loro sorriso di esseri umani sfruttati e sento un piccolo coro di voci straniere :”comprare mimosa? 5 euro” che ripete questa frase forse nel tentativo di ipnotizzarmi e convincermi all’acquisto.

5 euro. Questa è la festa della donna. Una triste e abusiva vendita di mimose. Ma ciò che più mi rattrista e indigna (oltre al fatto che quei sorridenti venditori abusivi pretendevano pure che mi comprassi la mimosa da sola … ma d’altra parte non mi aspetto il buon gusto da chi conduce un’esistenza non particolarmente felice, vissuta in condizioni di povertà e sfruttamento) è che anche quella giornata è diventata occasione di guadagni illeciti, di inciviltà, di rispetto calpestato, di sfruttamento. Insomma, un giorno come un altro … un giorno di ordinaria illegalità.

capire tu non puoi … tu chiamale, se vuoi, ELEZIONI….

C’era un Paese che si chiamava Civile. In questo Paese tutti avevano diritto di pensare liberamente, ma non di parlare… perché, si sa, la lingua ferisce più di una spada e nel Paese Civile la violenza era bandita. Nel Paese Civile c’era sempre spazio per tutti e c’era tanta democrazia, così tanta, ma così tanta che si cercava di dare a tutti, ma proprio a TUTTI (anche a cani e porci … gli animali in questo paese erano tutelati, un bene dello Stato e addirittura si facevano le leggi AD “ANIMALEM” pur di evitare di metterli in gabbia!) l’opportunità di governare e di dare il proprio contributo allo sviluppo della più alta civiltà! Così ogni tanto … o forse “ogni spesso” si indicevano nuove elezioni. Certo, non tutti si sentivano all’altezza, non tutti si candidavano, anzi, per comodità si candidavano sempre gli stessi. Sì, ma solo per comodità. Di chi, chi lo sa!

Manifesti, che manifesti! In giro, dappertutto, c’erano questi manifesti con simboli e facce e si faceva fatica a distinguere i simboli dalle facce, perché certe facce erano proprio strane, direi … plastificate, innaturali. Altre brutte, sproporzionate. Altre cicciotte e tonde. Cicciotte e tonde come i simboli. Ma nessuna faccia era rassicurante. Alcuni simboli invece erano rassicuranti. Quelli sì! Però così si faceva confusione tra facce e simboli. E poi, i simboli… erano solo simboli…

C’era un Paese che si chiamava Civile, dove si inventavano simboli sempre più rassicuranti. Sempre simboli nuovi, nuove immagini e nuovi colori. Simboli nuovi che simboleggiavano il nuovo e una nuova sicurezza che prima o poi sarebbe arrivata. C’era un Paese che si chiamava Civile e c’era sempre voglia di novità e progresso e si progrediva così velocemente, ma così velocemente che non si faceva mai in tempo a finire una legislatura perché c’era troppa voglia di cambiare, troppa voglia di nuovo e di progresso! E quindi si ripartiva per una nuova campagna elettorale. E con nuovi simboli! Invece, per comodità le facce erano sempre le stesse. Ma, beninteso, solo per comodità! Di chi, chi lo sa!

C’era un Paese che si chiamava Civile, ma ad un certo momento andava così veloce che valicò il confine civiltà/inciviltà e si trovò travolto dalla monnezza! Che monnezza! Quintali e quintali di immondizia! Tutti quei manifesti elettorali! Tutti diventati presto spazzatura e nessuno si era reso conto che era carta che poteva essere riciclata! Sì, quei manifesti, con quei simboli potevano essere riciclati! Materiale da riutilizzare! E invece, poiché l’immondizia era veramente troppa e pochi gli stabilimenti per il riciclaggio, bisognava operare una scelta e alla fine si decise di riciclare solo le facce! Mentre i simboli, ahimé, bisognava farne di nuovi! Più ecologici e più rassicuranti. Solo che alla fine la gente non capiva più niente e nessuno andava più a votare perché mentre si allestivano i seggi, la gente si preoccupava piuttosto di andarsi a procurare la pagnotta e di portarla a casa per le loro famiglie, e altra gente invece si impegnava a spalare la spazzatura.

Allora per comodità, solo per comodità (di chi, non si sa), si decise di fare un governo di alleanze e grandi intese. Per comodità, solo per comodità. E ovviamente solo fino alle prossime elezioni.


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