Arrivo in largo anticipo. Per una volta anche l’autobus non si fa attendere troppo. Non ho bagagli ingombranti, solo uno zainetto che porto a bordo. I posti avanti, quelli delle prime 7 o 8 file, sono riservati ai passeggeri che hanno provveduto alla prenotazione giorni prima, ma l’autista garantisce che in fondo i posti sono liberi. Messaggio che deve essere sfuggito, benché ripetuto uguale ad ogni passeggero, a una brillante ottantenne che comincia a spingermi. Agisce alle mie spalle, mentre sono nel corridoio dell’autobus, sollevando il mio zaino, quello che portavo sulla schiena, con il manico del suo bastone. E spinge. Una, due, tre volte. La tolleranza ha un limite. “Signora, è inutile che spinge, lo sa? Se le persone che sono in fila davanti a me non si siedono, la sua spinta è inutile, mi fa solo male ma certo non può avanzare”. “E che so’ cretina io? So’ vecchia, ma no ‘nzalanuta (rimbambita). Qua i posti so’ tutti prenotati, ma io so’ senza prenotazione e allora mi voglio sedere prima che arrivano i prenotati”. Bene, la signora sostiene di non essere ‘nzalanuta, ma la sua furbizia non mi pare affatto questo granché. Intanto continua a spingere, poi comincia a lamentarsi: “Oh, ma io so’ vecchia, ohimmé, e qua non ci sono posti, ma io c’ho il cuore, c’ho le gambe (… -e meno male!! – avrei voluto aggiungere io, ma il ragionamento si faceva troppo articolato per la sedicente non-‘nzalanuta), e mica posso stare tutto il viaggio in piedi?“. Infatti, le avrei voluto dire, cara signora mia, mi sa che il viaggio in piedi non glielo fanno proprio fare!
Intanto la fila comincia a esaurirsi, mi siedo al primo posto libero, sempre dal lato del finestrino come piace a me, e vedo la signora andare a sedersi qualche posto più in fondo con mia somma gioia. Ma la sento blaterare: “Ah, ma allora sti autisti so’ disonesti! Riceren’ ca i post eran tutt prenotat! Ah, ma allora so’ loro ca so’ ‘nzalanut’! Ma qua i posti ci so’! Ah, ca fors m’han vist vecchia, si crerrer’n ca era ‘nzalanuta e han penzat: ma sta vecchia ndu s’abbìa! TRADUZIONE: “Ah, ma allora questi autisti sono disonesti! Dicevano che i posti erano tutti prenotati! (- no, non dicevano affatto così -) Ah, ma allora sono loro ad essere rimbambiti! Qua i posti ci sono! Ah, ma forse mi hanno visto anziana, credevano che fossi rimbambita e avranno pensato: ma questa vecchia dove vuole andare!” Ovviamente inutile tentare di spiegare che, invece, agli autisti dell’età e della salute mentale e auricolare dei passeggeri importa poco, mentre è nel loro interesse (o se non altro nell’interesse della ditta di trasporti) che l’autobus sia al completo… 1 persona=1 biglietto, 100 persone=100 biglietti.
Mancano 10 minuti alla partenza. Arrivano ancora passeggeri. Due signore di mezza età salgono in tutta fretta, affannate, chiedono quanto manchi alla partenza, si siedono tra le prime file. L’autista chiede loro di favorire la prenotazione. Apriti cielo. Le due dame, A e B, cominciano a dar fiato alle trombe senza neanche dare all’autista il tempo di rispondere. Signora A: “La prenotazione? Che è sta novità? Ma noi viaggiamo da sempre con questo bus, ma quando mai la prenotazione?”; B: “Eh, ma infatti, ma ti ricordi che due anni fa (come se in due anni le cose non possano cambiare) siamo venute a Roma e non c’era tutti questi problemi”; A: “Infatti! Ché poi, io, a dire il vero, manco mai l’ho vista guidare su sto pullman!” (questo riferendosi all’autista… e uno strano cerchio dorato e luminoso appare pian piano in corrispondenza della sua testa, e degli strani affari piumati gli crescono simmetrici sulla schiena… e si comincia a sentire odor di santità); B: “No, ma io mò mi sono seduta e non mi importa, se volete partire partite, ma io non mi alzo”; A: “Io non mi sposto, né scendo!! Mò ci manca solo che ci lasciano qua! Me lo pagano loro l’albergo se devo restare a roma?”. Finalmente, dopo tante chiacchiere esagitate, A e B concedono all’autista diritto di replica: “Signore, i posti delle prime file sono riservati ai passeggeri che hanno pagato la prenotazione. C’è il cartello sul sedile, vedete? C’è scritto posto riservato! Ma tutto il resto dell’autobus è libero, potete scegliere un posto dopo la ottava fila”. A: “E mò ce lo dice? E mò la gente già si è scelta i posti migliori?” B: “Vabbè, andiamo, va’, sennò restiamo in piedi”. Una delle due decide di sedersi accanto a me. Lamenta di soffrire il mal d’autobus (e siamo ancora fermi in stazione), disprezza il servizio, i sedili troppo stretti, dice che le manca l’aria e, onestamente, con lei a fianco, comincia a mancare anche a me.
Il pullman parte. Prendo il lettore mp3, indosso gli auricolari, chiudo gli occhi e tento (invano) di rilassarmi. La signora accanto sgomita, si agita, come dicono al mio paese “NUN PIGLIA PACE”! E mette la maglia e sfila la maglia, e apre la zip della borsa e chiude la borsa, e mi chiede che ore sono e quanto dura il viaggio, e sfoglia la settimana enigmistica e chiude la settimana enigmistica, e vuole che chiuda la tenda perché batte il sole e poi però non vede il panorama, e dice che i giovani son tutti asociali per colpa delle cuffie nelle orecchie, e parla… ehm… urla al telefono ordinando al marito di scongelare la carne (ma perché non impara a mandare gli sms questa!!!), e ogni volta che apro il mio cellulare si sporge per spiare, e se converso al telefono commenta la discussione!!! Così non mi resta che accucciarmi sul finestrino, rannicchiarmi, darle le spalle e tentare di dormire. Il viaggio è lungo, vorrei solo stare in pace. La signora riceve una telefonata e racconta del suo pranzo: “…Ah, niente, figlia mia, giusto un paio di panini, così, tanto per non avere fame durante il viaggio. Ché devo stare leggera ché io soffro il viaggio in pullman! Giusto un panino con la mozzarella e le melanzane sott’olio e un altro con la frittata e i peperoni… Giusto due mezzi filoncini.”
Ché devo stare leggera ché io soffro il viaggio in pullman! Giusto un panino con la mozzarella e le melanzane sott’olio e un altro con la frittata e i peperoni… Giusto due mezzi filoncini.
Dormo per circa due ore. Poi sosta all’autogrill. Prima di scendere la signora accanto a me mi chiede: “Signorina, quest’autobus mi fa venire il mal di stomaco, ma non è l’autobus, è il posto (in effetti vale lo stesso per me con una tale compagna di viaggio… ma nel suo caso credo che lo stomaco stia semplicemente chiedendo la resa dopo il LEGGERO pasto), e allora… che dice… Crede che posso chiedere a qualcuno dei prenotati se vuol far cambio posto con me?”. Ci penso un attimo poi le do una risposta ferma e decisa: “Ma ceeeeerto Signora!!! E cosa aspetta!!! Lo chieda subito!!! (…e se non vuole farlo per lei, lo faccia per me!!! Ma a questo pensiero non ho dato voce)“. La proposta di scambio le viene rifiutata. Mannagggggggggggggggggg.
Dopo un quarto d’ora di sosta si riparte. Cerco di riaddormentarmi ignara che da lì a poco si sarebbe scatenata una rivolta, l’insurrezione popolare. C’è quiete, infatti, la classica quiete prima della tempesta. Si comincia a sentire un certo calore dal basso, i piedi e le gambe sudano, finché il caldo non arriva alla gola. L’autobus è al completo, con i riscaldamenti accesi si soffoca. La gente comincia a vociferare, sembra che organizzino i moti carbonari. All’urlo di un disperato : “Fa caldo!!!!”, un piccolo esercito di fanti parte minaccioso alla volta del posto del conducente. Quello che si poteva ottenere semplicemente chiedendo all’autista di spegnere il riscaldamento, viene preteso con modi duri e parole non proprio da ambasciator che non porta pena. Ora sono i toni a surriscaldarsi. La contrattazione sull’aria condizionata degenera. Volano parole quali civiltà, rispetto, decenza, e la mia testa fa un salto alla rivoluzione francese, mi immagino la Marianna con la bandiera rossa-bianca-blu e riecheggiano “liberté, egalité, fraternité”, e attendo che cada la testa di qualcuno. L’area di sosta dell’autostrada sembra un ottimo patibolo. Manca solo la ghigliottina, lo spettacolo sarebbe perfetto. Ma alcuni giovani impavidi si offrono di far da peace-keepers, volontari di pace in un contesto difficile. La tensione viene allentata. Di nuovo in marcia!
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